Cara dottoressa,
mi chiamo Fabio ho 54 anni e la mia vita mi sta sfuggendo dalle mani. Chi mi conosce potrebbe pensare che sono un uomo risoluto e determinato. So sempre cosa dire e come intervenire al momento giusto. Sono un libero professionista separato con due figli e da due anni vivo una storia tormentata con una donna coetanea conosciuta sul lavoro. E’ una donna straordinaria sotto certi aspetti sa quello che vuole e sa fare qualunque cosa per ottenerlo ma la sua apparente forza nasconde una fragilità che anche io ho dovuto conoscere. Fragilità che oggi mi sta facendo impazzire. Contesta ogni cosa che faccio si sente costantemente in competizione con me è gelosa delle colleghe e persino dei miei clienti. Ogni giorno c’è motivo di scontro. Siamo arrivati al punto tale che quando siamo alle riunioni ho persino timore a contraddirla perchè poi in privato me la fa pagare amaramente. Ma ciò che è assurdo è che succede solo sul lavoro. Infatti quando andiamo in vacanza lei diventa un’ altra persona. E tutto fila liscio come l’olio. Il problema è che i colleghi si sono accorti che questa nostra relazione così focosa e passionale sta mettendo in crisi il nostro rapporto di lavoro. Ma non le scrivo per questo. Ho letto che lei è un esperta di parafilie. E forse lei è la persona giusta con la quale confidarsi a dalla quale ricevere un consiglio. Questa situazione mi fa soffrire ma mi piace. E’ difficile da descrivere come mi sento. Lei riesce a farmi qualunque cosa e sono disposto a darle ciò che vuole e questi alti e bassi mi fanno sentire vivo. Ho sempre avuto in passato un’ inclinazione verso la sofferenza ma non era mai arrivata a questi livelli di piacere e dolore. Solo che adesso sta condizionando anche la vita degli altri. Non che mi interessi più di tanto ho sempre solo pensato a me e al mio tornaconto ma secondo lei come potrebbe andare a finire con lei?
Caro Fabio,
la discordia sotto le lenzuola si sà accende l’eros, ma potrebbe distruggere una persona se esce fuori dalla routine del gioco di coppia. Fare l’amore dopo un litigio può essere travolgente, perché la collera accende il desiderio. Ne sono un esempio le parole oscene, i graffi, lo schiaffeggiare i glutei e tutte quelle azioni fisiche di dominio e sottomissione che rendono il rapporto amoroso passionale. La passione e la brutalità spesso durante l’amplesso si mescolano. Ma è un enfasi che dev’essere dosata e utilizzata fine a sè stessa. Quando il disprezzo e l’ira vengono costantemente utilizzate nella propria quotidianità come mezzo per ottenere attenzione, rispetto, favori arrivando come nel tuo caso a coinvolgere e condizionare la vita e la routine di altri colleghi di lavoro, il rapporto diventa malsano sia per la coppia che per chi subisce la loro morbosità. E la collera più terribile è quella che non sfocia in violenza fisica, ma nella in violenza verbale o nelle obbligazioni d’intenzione Molto spesso, le coppie che si auto alimentano tra un gioco di dominazione e sottomissione psicologico costante arrivando a considerare l’altro come fosse un estensione di noi stessi. E quindi ci sentiamo legittimati a fare per lui/lei di lui/lei con lui/lei, ciò che ci rende vivi. Anche, come nel tuo caso, condizionando i rapporti di lavoro. Ma questa è una forma egoistica ed esclusiva di presunzione d’appartenenza e di narcisismo nel mettere in difficoltà sè stessi ed gli altri. Tutto ciò è un mix esplosivo che mi fa dedurre che sei, oppure entrambi siete, vittime della sindrome da dipendenza emotiva. Questa Sindrome può portare a una forma mentis che esprime concetti ossessivi come ad esempio: “I miei bisogni non contano ”o “non sono degno di essere amato”. I “dipendenti emotivi” dipendono dall’altro per quanto concerne la cura di se stessi, o la soluzione dei loro problemi. Temono di essere respinti, dimostrano di possedere caratteristiche di ossessività – bisogno di aiutare il partner a “migliorarsi” e crescere anche contro i loro interessi – inibizione – disponibilità a fare qualunque cosa per fare piacere al partner anche sapendo che è sbagliata – evitare ogni cambiamento – mancanza di routine standard nell’intimità e ricerca di ruoli di sottomissione o dominazione – piacere nell’umiliazione – dolore nella perdita- utilizzo del sesso come strumento per “tenere legato a sé” il partner – bisogno di assoluta devozione dell’ altro- pretesa di riconoscimento ai propri sforzi – tendenza alla manipolazione ed iper possessività. In questo caso specifico Fabio, in cui si sono trovati coinvolti loro malgrado altre persone, gli altri per te o anche voi sono un mezzo. Un contorno che a piacimento si muove per aumentare o sedare i propri livelli di piacere o dolore da coinvolgere per dare sapore o giustificare la propria routine. Soprattutto se nella copia, uno di voi è afflitto da mancanza di autostima e necessità di affermazione sociale. Ed ecco che nella vostra routine chiusa di coppia, si trovano ad essere compartecipi anche i vostri collaboratori più o meno consapevoli da muovere a vostro piacimento, estendendo il proprio piacere parafiliaco nell’utilizzo disinteressato degli altri. D’altronde tu stesso scrivi: ” ...Non che mi interessi più di tanto, ho sempre solo pensato a me e al mio tornaconto...” E termini non chiedendo un’ opinione su come evitare o arginare eventuali compromissioni della tua sfera professionale o sociale della vostra “morbosità” ma ancora una volta evidenzi l’interesse nel capire come andrà a finire il rapporto con Lei, come tuo unico punto di riferimento. Ma senza che tu te ne sia accorto, hai tu stesso definito con un verbo ciò che sarà destinato ad accadere. Ed oltre non vado, poichè non sono una pedina, in questo caso “consapevole” della vostra scacchiera; e da professionista, cogliendo questo pericolo, vi/ti suggerisco di continuare a farvi del male/bene vicendevolmente visto che siete sufficientemente grandi e vaccinati per gestire le eventuali conseguenze, senza coinvolgere gli altri. Amici, clienti, colleghi o persone di turno qualsiasi. Perchè non tutti, sono così ciechi da non comprendere quando dietro ad una richiesta di aiuto, ci sia solo la necessità di mantenere vivo il proprio gioco morboso. Dr.ssa Salvi
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